Roma, 15 apr. (AdnKronos Salute) - Ieri avevano gioito e pianto al termine dell'udienza pubblica alla Corte costituzionale, in cui gli avvocati avevano presentato ai giudici i loro casi: coppie senza problemi di sterilità , ma portatrici di gravi malattie genetiche che impediscono di portare a termine il sogno di sempre, un figlio sano. Ma oggi, alla notizia che la Consulta ha preso ancora tempo per decidere se abolire o meno il divieto di accesso alle tecniche di fecondazione assistita per queste coppie - previsto dalla legge 40/2004 - interpellati dall'Adnkronos Salute, i quattro coniugi che hanno voluto intraprendere una battaglia "per tutte le coppie come noi", si dicono "fortemente sconfortati".
"Dire che ci siamo rimasti male è veramente poco - confessa Valentina, 29 anni - ogni volta è un'attesa continua. Non è possibile. E' vero che ognuno deve fare il proprio lavoro ed è giusto anche che i giudici lo facciano nel migliore possibile, ma sono tre anni che aspettiamo questa decisione. La discriminazione fra noi e altre coppie è chiara: non solo rispetto a quelle infertili, ma anche a quelle fertili affette da malattie sessualmente trasmesse, che possono accedere alla diagnosi preimpianto. Noi no. Esistono cittadini di serie A e di serie B. Per noi doveva essere un giorno di svolta, ora dovremo aspettare almeno altre due settimane: è davvero dura".
Altrettanto delusa Maria Cristina, 36 anni, che oggi aspettava la sentenza dal posto di lavoro: "Siamo sconfortati e anche un po' sconcertati, non so nemmeno che dire. Cerco di reagire e di non perdere la speranza. Non abbiamo scelta, dobbiamo attendere e vogliamo rimanere fiduciosi, sperando in un esito positivo. Queste due settimane", necessarie per arrivare alla data della prossima riunione della Consulta, "saranno davvero lunghe".
Nella prima coppia, è la moglie a essere portatrice di una traslocazione cromosomica trasmissibile molto grave: dopo una prima gravidanza con aborto spontaneo, avviene una seconda gravidanza, ma al quinto mese viene effettuata una villocentesi che evidenzia gravi problemi, per cui la coppia deve ricorrere all'interruzione volontaria di gravidanza. Quest'esperienza segna molto i due giovani, che si erano rivolti all'ospedale Sandro Pertini di Roma e che durante la fase principale dell'aborto - raccontano - subiscono anche il rifiuto di soccorso dei sanitari che si appellano all'obiezione di coscienza.
La coppia successivamente chiede di poter accedere alla fecondazione assistita per conoscere lo stato di salute dell'embrione prima del trasferimento in utero ed evitare possibili aborti. Al rifiuto da parte del centro Pma S.Anna di Roma, i coniugi si rivolgono al tribunale di Roma, che ha rimesso alla Consulta la questione di legittimità costituzionale.
Nella seconda coppia, la donna è portatrice sana di distrofia muscolare di Becker, malattia genetica ereditata dal padre e con il 50% di probabilità di trasmettersi al figlio. Gli aspiranti genitori hanno vissuto 4 gravidanze interrotte da aborti spontanei, e una quinta in cui hanno deciso di ricorrere ad aborto terapeutico perché il feto è risultato, a seguito di villocentesi, affetto dalla grave patologia. Al rifiuto di ritentare con una gravidanza, ma con diagnosi preimpianto sempre al S.Anna, anche P. e M.C. hanno deciso di rivolgersi al tribunale di Roma che con una ordinanza simile a quella della prima coppia, ha rimandato la questione alla Consulta.
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