Roma, 14 apr. (AdnKronos Salute) - Giovani, affiatate e senza problemi di infertilità o sterilità . Ma portatrici di gravi malattie genetiche che si possono trasmettere ai figli, a meno che non si ricorra alla diagnosi preimpianto. Possibilità negata alle coppie italiane come alle due che hanno visto oggi i loro casi discussi di fronte alla Corte costituzionale. In udienza questa mattina, la questione del divieto di ricorrere alla procreazione medicalmente assistita per le coppie fertili, anche se colpite o portatrici da patologie ereditarie, previsto dalla legge 40/2004. I quattro 'coraggiosi' si dicono fieri di poter combattere anche per le altre numerossissime coppie italiane con lo stesso problema, e si stringono in continui abbracci prima, durante e dopo l'udienza.
Nella prima coppia, M. e V., la moglie è portatrice di una traslocazione cromosomica trasmissibile molto grave: dopo una prima gravidanza con aborto spontaneo, avviene una seconda gravidanza, ma al quinto mese viene effettuata una villocentesi che evidenzia gravi problemi, per cui la coppia deve ricorrere all'interruzione volontaria di gravidanza. Esperienza che segna molto i due giovani, che si erano rivolti all'ospedale Sandro Pertini di Roma e che durante la fase principale dell'aborto subiscono anche il rifiuto di soccorso dei sanitari che si appellano all'obiezione di coscienza.
La coppia successivamente chiede di poter procedere con accesso alla fecondazione assistita per poter conoscere lo stato di salute dell'embrione prima del trasferimento in utero ed evitare possibili aborti. Al rifiuto da parte del centro Pma S. Anna di Roma, i coniugi si sono rivolti al tribunale di Roma, che ha rimesso alla Consulta la questione di legittimità costituzionale.
Nella seconda coppia, P. e C., la donna è portatrice sana di distrofia muscolare di Becker, malattia genetica ereditata dal padre e che potrebbe trasmettere al figlio con il 50% di chance. La coppia ha vissuto 4 gravidanze, purtroppo interrotte da aborti spontanei, e una quinta in cui ha deciso di ricorrere ad aborto terapeutico perché il feto è risultato, a seguito di villocentesi, affetto dalla grave patologia. Al rifiuto di ritentare con una gravidanza, ma con diagnosi preimpianto sempre presso il S. Anna, anche P. e C. hanno deciso di rivolgersi al tribunale di Roma, che ha, con una ordinanza simile a quella della prima coppia, rimandato la questione alla Consulta.
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