Roma, 5 giu, (AdnKronos Salute) - Esiste "un insuperabile aspetto di irragionevolezza dellâindiscriminato divieto", fissato dalla legge 40, allâaccesso alla fecondazione assistita "con diagnosi preimpianto, da parte di coppie fertili affette (anche come portatrici sane) da gravi patologie genetiche ereditarie, suscettibili (secondo le evidenze scientifiche) di trasmettere al nascituro rilevanti anomalie o malformazioni". Lo sottolinea la Corte Costituzionale nelle motivazioni, pubblicate oggi, della sentenza con cui lo scorso 14 maggio i giudici hanno cancellato appunto il divieto di sottoporsi a Pma e diagnosi preimpianto da parte di coppie fertili con patologie genetiche.
Divieto irragionevole, secondo la Corte, visto che "con palese antinomia normativa (sottolineata anche dalla Corte di Strasburgo), il nostro ordinamento consente, comunque, a tali coppie di perseguire lâobiettivo di procreare un figlio non affetto dalla specifica patologia ereditaria di cui sono portatrici, attraverso la modalità della interruzione volontaria (anche reiterata) di gravidanze naturali, consentita dallâarticolo 6 (comma 1, lettera b), della legge 194". Una modalità "innegabilmente più traumatica", riconosce la Consulta.
In pratica, con i divieti previsti dalla legge 40, "il sistema normativo non consente (pur essendo scientificamente possibile) di far acquisire 'prima' alla donna una informazione che le permetterebbe di evitare di assumere 'dopo' una decisione ben più pregiudizievole per la sua salute". Da qui la Consulta riscontra "la violazione anche dellâarticolo 32 della Costituzione, in cui incorre la normativa in esame, per il mancato rispetto del diritto alla salute della donna".
Oltretutto, per la Corte costituzionale - si legge nelle motivazioni della sentenza - "il vulnus" arrecato dalle norme della legge 40 al diritto alla salute della donna, non trova "un positivo contrappeso, in termini di bilanciamento, in una esigenza di tutela del nascituro, che sarebbe comunque esposto allâaborto".
La normativa denunciata costituisce, perciò, "il risultato di un irragionevole bilanciamento degli interessi in gioco, in violazione anche del canone di razionalità dellâordinamento - ed è lesiva del diritto alla salute della donna fertile portatrice (lei o lâaltro soggetto della coppia) di grave malattia genetica ereditaria - nella parte in cui non consente, e dunque esclude, che possano ricorrere alla Pma le coppie affette da patologie siffatte, adeguatamente accertate, per esigenza di cautela, da apposita struttura pubblica specializzata".
Una volta accertato che queste norme della legge 40 "si pongono in contrasto con parametri costituzionali", la Consulta "non può, dunque, sottrarsi al proprio potere-dovere di porvi rimedio e deve dichiararne lâillegittimità ". Sarà poi "compito del legislatore introdurre apposite disposizioni per la auspicabile individuazione (anche periodica, sulla base della evoluzione tecnico-scientifica) delle patologie che possano giustificare lâaccesso di coppie fertili alla Pma e delle procedure di accertamento (anche agli effetti della preliminare sottoposizione alla diagnosi preimpianto) e di una opportuna previsione di forme di autorizzazione e di controllo delle strutture abilitate ad effettuarle".
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