Milano, 19 set. (Adnkronos Salute) - Il bimbo timido diventerà un adolescente ansioso? L'elettroencefalogramma può predirlo, hanno concluso i ricercatori dell'Istituto scientifico universitario San Raffaele di Milano, autori di uno studio longitudinale i cui ultimi risultati sono pubblicati sulla rivista 'Depression and Anxiety'. Leggendo le onde cerebrali dei tracciati Eeg, ottenuti in bimbi di 8 anni ai quali vengono mostrate immagini di coetanei con un'espressione ostile sul volto - spiegano gli scienziati - è possibile prevedere il rischio che a 15 anni insorga uno specifico disturbo d'ansia, chiamato fobia sociale.
Il lavoro è firmato dal Centro per lo studio della plasticità del comportamento dell'università Vita-Salute San Raffaele e dal Dipartimento di neuroscienze cliniche dell'Irccs milanese. I ricercatori hanno seguito nel tempo un gruppo di bambini arruolati nella popolazione generale, spiega una nota da via Olgettina. A partire dai 7 anni hanno raccolto dati sul grado di timidezza e ansia dei piccoli reclutati, sul profilo genetico, sulle risposte elettroencefalografiche alla visione di volti che comunicavano diversi segnali sociali, sull'attivazione di specifiche aree cerebrali attraverso la risonanza magnetica funzionale, e sulle strutture di connessione cerebrale attraverso la tecnica di Diffusion tensor imaging (Dti).
Nel progetto, coordinato da Marco Battaglia, docente di psicopatologia dello sviluppo del San Raffaele, le modalità con cui il cervello in crescita risponde alle stimolazioni sociali ed emotive che arrivano dai coetanei sono state misurate utilizzando espressioni del volto di altri bambini o ragazzi che mostravano segnali di accettazione (gioia), ostilità (rabbia) o ambiguità (neutre). Nel nuovo capitolo dello studio, che ha coinvolto gli stessi bimbi ormai diventati adolescenti, gli studiosi hanno cercato di capire se sia possibile utilizzare le risposte Eeg ottenute a 8 anni per predire se a 15 anni l'ansia sociale avrà raggiunto l'intensità di un vero e proprio disturbo.
I nuovi dati di Battaglia e colleghi hanno mostrato che, più del grado di timidezza osservabile nell'infanzia, erano le reazioni elettroencefalografiche che i bambini avevano fornito all'età di 8 anni di fronte a immagini di coetanei ostili ad agire da elementi di predizione per la presenza della fobia sociale nell'adolescenza.
Tra i partecipanti allo studio, spiegano gli autori, "la semplice operazione di guardare dei volti di coetanei era sufficiente a determinare nell'amigdala - una piccola area che risiede in profondità, nelle zone più arcaiche del nostro cervello - un grado di attivazione, cioè di risposta emozionale, che andava di pari passo col grado di ansia sociale. In altri termini, erano i ragazzi con il disturbo di fobia sociale a mostrare la massima attivazione dell'amigdala, ed erano i volti di coetanei con espressioni rabbiose (di rifiuto) o neutre (con valenza sociale difficilmente valutabile) a evocare risposte differenti tra ragazzi, a seconda della presenza o meno di fobia sociale". Inoltre, "a seconda dell'assetto genetico relativo al gene promotore del trasportatore della serotonina (lo stesso gene che Battaglia e collaboratori avevano trovato connesso alla timidezza e alle risposte Eeg ai volti, nei partecipanti allo studio quando avevano 8 anni) era possibile riconoscere una diversa reattività dell’amigdala in adolescenza".
"Gli studi longitudinali di questo genere sono complessi, relativamente costosi e richiedono considerevoli conoscenze multidisciplinari, oltre che capacità di collaborazione tra studiosi di diversa formazione - commenta Battaglia - In cambio, ci aiutano a capire come le evoluzioni da adattamento a difficoltà nel corso dello sviluppo siano governate da un numero elevato di fattori, quasi mai da un'unica causa, e come lo studio congiunto di questi fattori nel tempo sia la chiave per migliorare la salute delle nuove generazioni".
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