Roma, 8 mag. (Adnkronos Salute) - In Italia solo 6 regioni su 21 assicurano il medico di famiglia o il pediatra di libera scelta ai figli di migranti non regolarmente iscritti al Servizio sanitario nazionale (Ssn). Si tratta di Toscana, Umbria, provincia autonoma di Trento, Emilia Romagna, Marche e Puglia. Poco più della metà delle regioni - Campania, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Marche, Molise, provincia autonoma di Trento, Piemonte, Sardegna, Sicilia, Toscana, Umbria e Veneto - hanno emanato direttive regionali per garantire la continuità assistenziale di base agli stranieri irregolari; le altre 8 hanno demandato alle singole Asl con differenze territoriali. In Basilicata l'unica risposta è offerta dal pronto soccorso. A scattare la fotografia il Rapporto 2012 dell'Osservatorio civico sul federalismo in sanità di Cittadinanzattiva, presentato questa mattina a Roma.
Osservatorio reso possibile grazie al contributo non condizionato di Bristol Myers Squibb e Pfizer, attivato nel 2011 da Cittadinanzattiva-Tribunale per i diritti del malato al fine di approfondire il tema del federalismo sanitario, mettendo insieme il punto di vista del cittadino come utente finale del servizio con l'insieme dei dati di natura istituzionale e tecnica. Il Rapporto 2012 fa il punto su alcune aree tematiche: si va dal percorso materno-infantile, alla procreazione medicalmente assistita, dalla prevenzione e vaccini, alla rete oncologica, dall'assistenza territoriale, all'assistenza farmaceutica con un focus sul livello di trasparenza delle nostre regioni. Quello emerso dal Rapporto e' "un federalismo al capolinea, che ha indotto le regioni a restringere i diritti, impoverito il servizio sanitario pubblico a vantaggio del privato e stremato i cittadini, creando differenze territoriali senza precedenti - afferma Antonio Gaudioso, segretario generale di Cittadinanzattiva - E mentre la direttiva europea approvata nel 2011 stabilisce che i cittadini della Ue possono scegliere liberamente in quale stato curarsi, assistiamo nel nostro Paese a disparità di trattamento dei cittadini a seconda della regione di residenza e, addirittura, alla delibera con il cui il subcommissario campano alla sanità vieta di fatto ai propri residenti di curarsi fuori dal proprio territorio. Un tentativo anacronistico e anticostituzionale".
Dei 158 punti nascita con meno di 500 parti l'anno censiti nel 2009, a luglio 2012 solo 20 sono stati chiusi, di cui 9 in Calabria. Su 580 punti nascita esaminati, solo Valle D'Aosta e Friuli Venezia Giulia erogano il parto in analgesia nel 100% dei casi. Seguono il Trentino (86,7%) e la Toscana (84,2%). All'opposto, in Molise nessun centro eroga il servizio di epidurale da travaglio; la Sicilia lo esegue nel 6,2% dei punti nascita; Basilicata e Abruzzo nel 14,3%. Ancora più variegata risulta la copertura gratuita e h24 del servizio di analgesia: in generale al Nord sono le strutture più grandi (con oltre 1.000 parti l'anno) a offrire l'epidurale gratuitamente h24, al Sud ciò avviene soprattutto nelle strutture piccole, Veneto e Friuli Venezia Giulia le più virtuose.
Per quanto riguarda la Procreazione medicalmente assistita (Pma), ogni regione è un caso a sé. In questo ambito, l'assistenza è davvero la più diversificata. Si va dal Molise dove non esiste alcun centro di Pma, alla Lombardia con 63 centri. In generale è il Nord Ovest l'area più fitta come numero di centri, ma è il Centro Italia quella che è cresciuta maggiormente come offerta in relazione alla domanda. Nel 2010 su 357 centri di Pma, il 43,4% (155) è pubblico o privato convenzionato, il restante 56,6% (202) privato: le regioni con una maggiore offerta pubblica sono la Liguria con il 100% anche se riferita a soli 2 centri, l'Emilia Romagna (11 centri pubblici su 17, ossia il 64%), Toscana (13/9, 62%); al contrario l'offerta è quasi esclusivamente privata in Sicilia (29/36, ossia il 84,7%), nel Lazio (43/54, 83%) e in Campania (30/41, 72,7%).
Una struttura pubblica spende in media tra i 2.700 e i 3.000 euro per una fecondazione in vitro, mentre nei centri privati si va dai 3.000 agli 11.000. Inoltre Toscana, Piemonte, Veneto, FVG e provincia autonoma di Trento hanno inserito le prestazioni di Pma nei Lea, con ticket o quota di compartecipazione, senza alcuna esclusione della popolazione interessata. Diverso anche il limite di età stabilito dalle diverse regioni sulla cui base le donne possono accedere o meno alla Pma: Abruzzo e Campania non pongono alcun limite, 46 anni è il limite massimo imposto dal Veneto, 45 dall'Emilia Romagna, Lazio e Liguria lasciano invece alla discrezionalità dei singoli centri.
L'Osservatorio non si limita a scattare una fotografia, ma offre anche una ricetta per migliorare la situazione. La prima proposta, spiega Sabrina Nardi, responsabile del progetto, e' quella di "abbandonare i tagli lineari in favore della programmazione, approvando il Piano nazionale sanitario e il nuovo Patto per la Salute". La seconda e' quella della "trasparenza delle scelte, della capacità di amministrare e programmare e capacità di comunicare adeguatamente". Infine, "la possibilità per i cittadini di avere più voce in capitolo nel monitoraggio dei Livelli essenziali di assistenza (Lea), negli organismi indipendenti di valutazione e nella gestione delle politiche del farmaco", conclude Nardi.
Nessun commento:
Posta un commento