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giovedì 27 settembre 2012

Sanita': l'indagine, fino a 9 mesi per prima ecografia in gravidanza

Roma, 27 set. (Adnkronos Salute) - In Italia, in alcuni centri, le future mamme sono costrette ad attendere fino a 9 mesi per effettuare la prima ecografia ostetrica. Praticamente il tempo di un'intera gravidanza. Tanto che, per farla nei tempi giusti, le partorienti sono costrette a far ricorso all'intramoenia. E' quanto emerge dall'indagine 'Percorso nascita, indagine civica sulle prestazioni sanitarie. Focus sugli screening neonatali', presentata oggi a Roma dal Tribunale per i diritti del malato-Cittadinanzattiva, e condotta in 51 strutture italiane differenti per numero di parti annui, da quelle con meno di 500 all'anno a quelle con più di 2.500.

Sono state passate ai raggi X alcune visite specialistiche ed esami diagnostici che il Servizio sanitario nazionale eroga gratuitamente per la tutela della salute della donna nel periodo della maternità: prima visita ginecologica, visite di controllo, ecografia ostetrica entro la tredicesima settimana, ecografia morfologica entro la diciannovesima e la ventesima settimana. Ebbene, per quanto riguarda ad esempio l'ecografia ostetrica, vi sono centri che riescono a garantirla nel canale istituzionale in tempi congrui (10, 15 giorni, ecc.), altre strutture che raggiungono punte massime di attesa di 90 e addirittura 265 giorni. In intramoenia invece le strutture riescono ad erogarla in una arco di tempo che va da 1 o 2 giorni a 10, 15 giorni.

E ancora. Per l'ecografia morfologica, (esame da effettuarsi tra la 19esima e la 23esima settimana) nel pubblico il tempo minimo può variare da 8 a 30 giorni (come previsto dai piani nazionali di contenimento delle liste d'attesa), fino ad un massimo di 78, 90 e addirittura 104 giorni (nelle strutture più grandi). L'indagine ha preso in esame anche alcune prestazioni in ambito pediatrico: ecografia per displasia delle anche, ecografia cerebrale pediatrica, ecografia testicolare, visita cardiologia pediatrica. "In questa area - spiega il Tdm - emerge una maggiore difficoltà di accesso, e si fa notare che nessuna delle prestazioni afferenti all'ambito pediatrico è stata mai inserita tra quelle per le quali è necessario rispettare i tempi massimi (generalmente 30 e 60 giorni) all'interno piano nazionale di contenimento dei tempi di attesa. Ciò evidenzia quanta poca tutela ci sia nei confronti del diritto di accesso per i minori".

Analizzando l'indagine del Tdm, quello che balza agli occhi è che in generale le strutture in cui si effettuano più di 2.500 parti l'anno offrono maggiore attenzione e possibilità alle partorienti, in termini di servizi offerti. Un esempio viene dalla Carta dei servizi dedicata al percorso nascita. "Nonostante sia passato più di un anno e mezzo dall'accordo Stato-Regioni sul tema - spiega il Tdm - le strutture più grandi (più di 2500/anno e tra 800 e 999 parti/anno) in due casi su tre dichiarano di averne una, mentre fanalino di coda sono le strutture in cui si effettuano meno di 500 parti annui".

E ancora. Dall'indagine emerge che la maggioranza dei reparti monitorati (84%) è ormai dotata di rooming-in. Soltanto il 12% non è organizzato allo stesso modo. Anche qui le strutture con più di 2500 parti annui, a cui si aggiungono quelle con parti annui compresi tra gli 800 e i 999, sono dotate di rooming-in (100%). Non superano la soglia dell'81% le altre classi.

Rispetto invece agli screening metabolici neonatali, i dati dell'indagine rilevano che il 96% delle strutture monitorate effettua gli screening obbligatori per legge (fenilchetonuria, fibrosi cistica, ipotiroidismo congenito), il 4% non risponde alla domanda. Per lo screening metabolico allargato, invece, non essendoci una legge nazionale che orienti in merito, sono le Regioni a decidere di garantire, attraverso propri atti normativi, programmi di screening alla popolazione.

Tra le Regioni passate al setaccio, la Toscana, la Liguria, l'Umbria, la Sardegna e la Provincia autonoma di Trento hanno programmi di screening regionali. Il Lazio, pur avendo un programma di screening regionale, non ha una totale copertura. Tra le strutture monitorate, in Lombardia e in Sicilia si esegue lo screening allargato in alcuni centri di Milano, di Pavia e di Catania e Palermo; nelle altre strutture monitorate in Abruzzo, Campania, Calabria, Campania e Puglia non risulta invece l'erogazione dello screening metabolico allargato.

Rispetto al totale delle strutture oggetto di indagine, lo screening neonatale metabolico allargato viene eseguito dal 44% di questi centri. Il 48% non effettua screening, l'8% non risponde. In particolare lo screening allargato, sempre nelle strutture oggetto di indagine, si effettua nel 33% dei centri con numero di parti annui superiore a 2500; nel 42% dei centri con parti annui tra 1000 e 2499; nel 50% dei centri con parti annui tra 800 e 999, e nel 60% in quelli con parti annui tra 500 e 799. I centri più piccoli, invece, eseguono lo screening nel 40% dei casi ma si segnala un alto numero di non risposte pari al 20%.

"E' necessario - sottolinea Giuseppe Scaramuzza, coordinatore nazionale del Tribunale per i diritti del malato di Cittadinanzattiva - un ulteriore sforzo per garantire un servizio qualitativamente migliore che offra più attenzione alla persona, specie in quei punti nascita che effettuano tra i 1000 ed i 2500 parti l'anno. Maggiore impegno si richiede infatti per queste strutture che dovranno accogliere un bacino di utenza sempre più ampio nel tempo quando, gradualmente, verranno chiusi e riconvertiti i punti nascita con numero di parti all'anno inferiori ai 1000, come contempla il piano di riordino sui punti nascita. Il rooming-in e l'allattamento al seno - aggiunge - dovrebbero ormai essere garantiti da tutte le strutture, poiché è passato molto più di un decennio dal varo delle linee guida dell'Unicef".

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