Roma, 9 nov. (AdnKronos) - Il 13 novembre prossimo saranno 40 anni che il cinema italiano ha perso uno dei suoi più celebrati registi ed interpreti, con quattro premi Oscar vinti tra il 1946 e il 1972: Vittorio De Sica, considerato come regista uno dei padri del neorealismo cinematografico e allo stesso tempo come attore uno dei maggiori interpreti della commedia all'italiana.
"Lui era unico, come regista, come autore. Spero che come attore mi sia rimasto qualcosa di lui nel dna", dice, all'AdnKronos, il figlio Christian che in questi giorni intreccia il ricordo del padre con il lancio del film "La scuola più bella del mondo", di Luca Miniero, che lo vede fra gli interpreti.
"Mi auguro che questa coincidenza mi porti bene, anzi sono sicuro che papà dal cielo mi tiene una mano sulla testa", dice Christian e aggiunge che "quando sono a teatro, prima di andare in scena, mormoro sempre 'papà proteggimi tu'".
La scuola più bella del mondo, per diventare attore e regista, Christian l'ha avuta a casa ma, sottolinea lui, "avrei voluto che durasse almeno un po' di più, quante cose avrei potuto chiedere a mio padre, quante paure mi avrebbe potuto togliere". Quando Vittorio de Sica morì, a Neuilly-sur-Seine, in Francia, il 13 novembre 1974, in seguito ad un intervento chirurgico, Christian aveva 23 anni.
Nei suoi 73 anni di vita e 57 di cinema (nel 1917 l'esordio con una particina nel film muto di Giancarlo Saccon "Il processo Clemenceau") Vittorio De sica ha interpretato e diretto e Christian lo rivede, anche nel senso più stretto, soprattutto in quest'ultima veste: "Quando mio padre interpretava non era lui, fingeva, faceva appunto l'attore. Io lo vedo soprattutto nei film in cui non c'è, quelli che ha diretto; da 'Sciuscià ' a 'Ladri di biciclette', da 'Miracolo a Milano' a 'La ciociara'.
"In quei film mio padre c'è davvero, con il suo carattere, il suo modo di vedere la vita, e poi c'è anche in immagine, nel senso che nelle movenze, nelle espressioni degli attori rivedo le sue", aggiunge Christian De Sica, riferendosi alla prassi registica di 'mostrare' agli attori cosa si vuole da loro accennando personalmente la scena prima di girarla.
Quando si chiede al figlio quale film del padre lo emozioni di più lui non ha dubbi: "Quando ho rivisto 'Umberto D.' sono scoppiato a piangere". Il film, del 1952, ritenuto il migliore di Vittorio de Sica da buona parte della critica, rientra nella stagione neorealista del felice connubio fra il de Sica regista e lo Zavattini soggettista e sceneggiatore che li vide realizzare "Sciuscià " (1946), "Ladri di biciclette" (1948), "Miracolo a Milano" (1951), "Lâoro di Napoli" (1954) e "Il tetto" (1956).
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