Roma, 10 giu. (LaPresse) - La scelta di avere figli da parte di una coppia sterile o infertile "costituisce espressione della fondamentale e generale libertà di autodeterminarsi" e, riguardando "la sfera più intima ed intangibile della persona umana, non può che essere incoercibile, qualora non vulneri altri valori costituzionali, e ciò anche quando sia esercitata mediante la scelta di ricorrere a questo scopo alla tecnica di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo, perché anch'essa attiene a questa sfera". E' quanto scrive la Corte costituzionale nelle motivazioni - depositate oggi - relative alla decisione dello scorso 9 aprile con cui aveva dichiarato incostituzionale il divieto alla fecondazione eterologa.
La Costituzione, precisa la Consulta, non presenta "una nozione di famiglia inscindibilmente correlata alla presenza di figli", ma allo stesso tempo l'ordinamento giuridico italiano considera "favorevolmente" il progetto di formazione di una famiglia "caratterizzata dalla presenza di figli, anche indipendentemente dal dato genetico", in applicazione "di principi costituzionali, come dimostra la regolamentazione dell'istituto dell'adozione". Quindi, scrivono i giudici della Corte costituzionale, è "evidente" che "il dato della provenienza genetica non costituisce un imprescindibile requisito della famiglia stessa".
Nel documento, inoltre, la Consulta fa riferimento al diritto alla salute, garantito dalla Costituzione, e considerato non soltanto uno stato di benessere fisico, ma anche psichico. Ecco allora che "l'impossibilità di formare una famiglia con figli insieme al proprio partner - scrive la Corte - mediante il ricorso alla Pma di tipo eterologo", può "incidere negativamente, in misura anche rilevante, sulla salute della coppia".
Non si tratta, si legge nelle motivazioni, "di soggettivizzare la nozione di salute, né di assecondare il desiderio di autocompiacimento dei componenti di una coppia, piegando la tecnica a fini consumistici", ma di tenere conto che la nozione di patologia, anche psichica, "la sua incidenza sul diritto alla salute e l'esistenza di pratiche terapeutiche idonee a tutelarlo vanno accertate alla luce delle valutazioni riservate alla scienza medica, ferma la necessità di verificare che la relativa scelta non si ponga in contrasto con interessi di pari rango". Un intervento sul merito delle scelte terapeutiche, in relazione alla loro appropriatezza, "non può nascere" quindi "da valutazioni di pura discrezionalità politica del legislatore", ma deve tenere conto anche "degli indirizzi fondati sulla verifica dello stato delle conoscenze scientifiche e delle evidenze sperimentali acquisite, tramite istituzioni e organismi a ciò deputati".
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